Incidente probatorio Norman Atlantic – i risultati della perizia

Nel procedimento penale Rg 20598/14 sul disastro marittimo del Norman Atlantic abbiamo finalmente raggiunto la fase conclusiva dell’indagine svolta dai periti nominati dal tribunale di Bari nell’ambito dell’incidente probatorio diretto dal Giudice delle Indagini Preliminari dott.ssa Alessandra Piliego. periti nominati dal tribunale di Bari nell’ambito dell’incidente probatorio diretto dal Giudice delle Indagini Preliminari dott.ssa Alessandra Piliego.

A partire dal 27 marzo 2017, ogni giorno e per una settimane di fila, si è tenuta udienza all’interno dell’aula bunker di Bitonto, onde consentire al collegio peritale di illustrare i risultati della loro indagine e – in una trattazione divisa per blocchi (caricamento e rizzaggio mezzi, incendio, vdr ed apparati di bordo, gestione emergenza, abbandono nave etc.) – i periti si sottoporranno all’esame delle parti per le varie osservazioni, integrazioni, contestazioni e domande di approfondimento.

Le udienze si sono aperte con le prime schermaglie sul tema dell’ordine di esame e controesame ai periti da parte dei vari difensori. La norma processuale (art. 401, V comma cpp) prevede infatti che le prove sono acquisite secondo le forme ed ordine di assunzione stabilite per il dibattimento, e dunque si deve iniziare l’esame con le proprie domande ai periti chi ha richiesto l’incidente probatorio (nella fattispecie i Pubblici Ministeri), seguendo con il controesame da parte degli avvocati difensori dei 18 soggetti indagati. A seguire i difensori delle parti offese (noi), che possono rivolgere domande ed osservazioni solo indirettamente ed attraverso il giudice, il quale, se le ritiene pertinenti, le formula ai periti (in quanto, durante questa fase processuale, le parti offese non sono ancora parti processuali vere e proprie, qualità che assumono solo nel momento in cui viene ammessa la loro costituzione di parte civile, dopo la richiesta di rinvio a giudizio), assieme alle domande di chiarimento che lei stessa riterrà opportuno svolgere in chiusura dell’esame. Ovviamente “parlare” per ultimi rappresenta un vantaggio processuale non indifferente, tanto che durante il dibattimento vero e proprio, l’avvocato difensore dell’imputato è in genere garantita sempre l’ultima “parola”. In questa circostanza tuttavia, nonostante la protesta dei difensori degli indagati di poter intervenire dopo la serie di domande degli avvocati di parte offesa, il GIP ha giustamente ritenuto di mantenere l’ordine previsto dal codice, anche se, con grande disponibilità verso tutti, ha consentito una occasionale inversione di questo ordine per esigenze di alcuni difensori di parte lesa, e comunque ha garantito la possibilità per tutti, PM e difensori degli indagati di tornare su alcuni eventuali punti toccati da domande delle parti civili.

Nella serie di udienze consecutive si è iniziato da una breve e sintetica presentazione, da parte dei periti, delle quasi 700 pagine della loro relazione e sulle loro conclusioni sull’incendio, sulle cause di probabile innesco, tempi di sviluppo e modalità di propagazione, per poi sottoporsi alle domande della Procura, partendo dalla fase di caricazione mezzi (ed è emersa, come vedremo, una certa pressione di Anek sull’equipaggio della NA per imbarcare un numero di camion frigo in modo eccessivo rispetto alla disponibilità di prese, e sempre senza preavviso), delle operazioni di rizzaggio (ovverosia di aggancio dei veicoli pesanti alle paratie a terra, per assicurare la stabilita del carico e bilanciamento nave, eseguite in modo approssimativo ed assolutamente inadeguato, ammassando i mezzi e, sopratutto gli autotreni, troppo vicini uno all’altro, continuando le operazioni di rizzaggio addirittura anche in navigazione, senza comunque portarle a termine), di collegamento dei camion frigo alle prese di corrente (poiché è stato chiarito come sia severamente vietato, durante la navigazione, alimentare il gruppo frigo dei veicoli da trasporto con vano di carico a temperatura controllata, attraverso i motorini diesel che, invece, mantengono autonomamente la refrigerazione durante la circolazione su strada dei mezzi, e quindi questi, una volta imbarcati, vanno disattivati e allacciati alla rete elettrica della nave), il numero delle prese e dei cavi disponibili a bordo (dando evidenza della presenza di più camion frigo rispetto alle prese e cavi di collegamento disponibili sulla nave, il che certamente da evidenza che alcuni autotreni -almeno 3 sul ponte 4- non erano stati collegati all’impianto elettrico della nave e quindi presumibilmente avevano il sistema di refrigerazione con motore a scoppio in funzione durante la navigazione) e molti altri elementi che dimostrano una spregiudicata approssimazione e generale violazione delle norme Solas e del codice SMS alla base della tragedia (parlano di insieme di “errori umani” e di “vistose e intrinseche debolezze” sotto il profilo ingegneristico come cause del disastro) sopratutto per quanto riguarda l’approntamento della nave e del suo carico al viaggio.

Cosa che, d’altronde, era ben nota visto che i nostri clienti lo avevano con molta chiarezza riferito e denunciato sin da subito: gli autotreni erano stati stipati nei ponti garage in modo tale che alcuni autisti erano stati costretti ad uscire dai finestrini non riuscendo ad aprire gli sportelli, non allineati ne agganciati alle “margherite” di fissaggio a terra per il rizzaggio, ed infatti i periti hanno riscontrato che la Safety Way (la via di passaggio per uscire, per eseguire i giri di ronda ed eventuali controlli oltre che come via di fuga) era parzialmente impegnata da alcuni mezzi e lasciava un angusto spazio di circa 40 cm per passare, rendendo oltretutto particolarmente difficoltoso il check sugli allarmi che sono poi scattati in plancia (sopratutto per un marinaio corpulento come Nardulli, che infatti non ha portato a termine la perlustrazione ma si è limitato a comunicare in plancia che il fumo rilevato dai sensori proveniva da un motore a scoppio in funzione), la dotazione e settaggio degli allarmi antincendio (e la loro funzione di rilievo calore/fumo che poteva essere attivata in modalità and/or), la dotazione, capacita e funzionamento degli impianti anti incendio passivi sulla nave (porte tagliafuoco, paratie A60) e di quelli attivi (sprinkler e drenching). Su questo punto, i periti hanno anche accertato che il sistema drencher, quello che si può attivare per zone di divisione della nave come sistema di estinzione massiva ad acqua sui ponti cargo, deve esser aperto manualmente ed in non più di due zone contemporaneamente (mentre nella fattispecie venne avviato, per negligenza, su almeno tre zone (diminuendo quindi la portata e capacita di estinzione dei getti) e su una zona errata (sul ponte 3 e non sul 4).

Secondo la perizia, l’origine dell’incendio si è invece originato proprio sul deck 4, e con ogni probabilità da un motorino a scoppio a servizio di uno dei camion frigo imbarcati, visto che, come spiegato in aula, questi compressori sono diesel raffreddati ad aria, e quando il veicolo è fermo tendono a surriscaldare molto rapidamente, con conseguente e concreto rischio di generare incendi. Di qui il rigoroso divieto di tenerli disattivati durante la navigazione e l’obbligo per tutti i mezzi con carico refrigerato, di allacciarsi alla rete elettrica della nave per garantire il controllo della temperatura sul vano di carico alimentare, o il normale funzionamento dei diversi motorini a servizio (es. per insufflare aria nel trasporto di pesce vivo).

Sul motivo per cui vi fossero invece diversi di questi motori in funzione durante la navigazione sul NA, Pm dott. Perrone Capano ha letto in aula una mail che chiarisce tutto. La corrispondenza è intercorsa fra il comandante, Argilio Giacomazzi, l’armatore Carlo Visentini e il broker della società greca Anek, noleggiatrice del traghetto, iniziata il 25 dicembre 2014 e interrotta due giorni dopo, sabato 27 dicembre, poche ore prima del disastro. Nell’ultima mail Visentini e il broker per conto di Anek si davano appuntamento al lunedì successivo (29 dicembre) per risolvere la questione del carico dei mezzi e delle prese di corrente. La nave non è mai arrivata a quell’appuntamento: «Ci mettete nelle condizioni di viaggiare con più camion frigo rispetto al numero delle prese a disposizione, costringendoci a tenere accesi i motori delle celle refrigeranti dei tir». E già prima vi era evidenza di mail in cui il direttore macchine si lamentava con l’armatore riguardo al “solito problema degli allacci frigo”, e le pressioni di Anek per imbarcare i TIR, che venivano “caricati in modo a dir poco ignobile”, con la violazione delle norme sulla sicurezza a bordo del traghetto.

Con riferimento agli effetti e tempi dell’incendio, nella sua esposizione iniziale, l’ing. Bernardino Chiaia ha illustrato nel dettaglio le simulazioni sviluppate dai periti per analizzare le modalità, tempi di propagazione ed effetti di varie tipologie di incendio in un ambiente come quello del ponte 4, ovverosia su un ponte garage, con finestroni aperti (e relativo apporto infinito di ossigeno, fonte di alimentazione del comburente, ed aggiunta del fattore vento, che sicuramente ha contribuito ad accelerare e potenziare gli effetti distruttivi del fuoco), in presenza di molti autotreni adiacenti, che hanno consentito la propagazione del fuoco da un mezzo all’altro e l’inserimento come fonte di alimentazione del cd. triangolo del fuoco, di combustibili importanti come l’olio d’oliva e materiali plastici.

Al di la di tutto, la simulazione cap. 7.8.3 n. 3, con la quale i periti riproducono un incendio in condizioni ambientali (per dimensione, forma, tipologia, tipo di carico mezzi e altri fattori di rilevanza) esattamente corrispondenti a quelle del ponte 4 del NA, dimostra che dopo 5 minuti un incendio, in quel tipo di ambiente, diviene indomabile, a prescindere dall’attivazione corretta e tempestiva dei sistemi antincendio attivi in dotazione alla nave: ed allora, sottraendo i 2 minuti necessari al sensore fumo/calore, dal momento dell’innesco dell’incendio, per dare l’allarme sul pannello autronica in plancia di comando, questo lascia all’equipaggio esattamente 3 minuti per fare il check, attivare l’impianto drencher e controllare/estinguere l’incendio prima che diventi non più controllabile, se scaturito su ponti con finestroni aperti ed uno stivaggio di vetture ed autotreni con carico medio, anche di materiali non particolarmente pericolosi od infiammabili.

Poi, su ns. domanda, i periti ci hanno riferito di aver calcolato i tempi necessari (per un marinaio di corporatura media..) a compiere il giro di ispezione su alert, scendere nei locali garage, dare conferma al ponte sull’allarme ed attivare il sistema drencher (recandosi nella apposita stanza ed aprendo le valvole sulle zone interessate) in circa 5-6 minuti, il che quindi, facendo un semplice tempistiche sulle tempistiche, restituisce una evidenza che non possiamo non definire clamorosa in quanto, di fatto, su quella nave, e su tutte le Ro-Pax con ponti aperti con finestroni (ci risultano circa 60 navi di produzione Visemar e similari), un incendio è geneticamente INDOMABILE, stando all’allarme dei sensori, anche attivando tempestivamente il drencher (ed ovviamente in modo appropriato e sulle ordinate corrette); non a caso quando sul NA vennero aperte le valvole, dalle bocchette usciva solo vapore, a conferma che il sistema antincendio ad acqua della nave, a quel punto era già compromesso.

Insomma, sul Norman Atlantic, stando alla perizia, possiamo affermare che a livello di progettazione, l’incendio non si sarebbe comunque potuto controllare, salvo che non si fosse previsto un presidio fisso nei locali garage (ed in particolare – ma non solo – sul weather deck, ovverosia quello con finestroni laterali aperti, che come detto amplifica ed accelera l’eventuale incendio) o di installare – come nella zona passeggeri (sistema sprinkler) un sistema automatico di drenching (che però comporta il danneggiamento del carico merci anche su falso allarme e non è facilmente attuabile a livello tecnico). Viene da chiedersi come possa una nave del genere essere certificata per il trasporto di mezzi e persone, e speriamo che sia la Procura della Repubblica a porsi tale domanda e verificarne gli aspetti investigativi al momento di fare la richiesta di rinvio a giudizio.

Sistema VDR Norman AtlanticAltro punto sempre sul tema delle certificazioni e conformità della NA, riguarda il VDR, ovverosia il Voyage Data Recorder, meglio nota come “scatola nera” della nave, che registra tutti i dati di posizione, movimento, allarmi, le voci in plancia e quanto altro renda possibile la ricostruzione di un incidente a posteriori, esattamente come avviene sugli aerei. Ebbene, stando a quanto chiarito dal collegio peritale, il sistema aveva dei “bug” sia a livello software che hardware, che hanno reso estremamente complessa la operazione di estrazione, lettura ed analisi della massa di dati, che in ogni caso sono risultati non totalmente conformi a quanto si sarebbe dovuto registrare. A nostra esplicita domanda se una situazione del genere era e doveva essere rilevabile ai fini della certificazione del VDR, la risposta è stata affermativa; alla domanda se l’apparato fosse omologabile o meno, NON ci è stato risposto. Ci è sembrato però che la Procura, a quel punto, si sia ovviamente interessata di capire ed approfondire eventuali profili di responsabilità personali (chi ha firmato il certificato) ed a livello di sistema certificazioni, anche se, a meno che che tali “bug” non fossero (come a noi pare sommessamente di aver capito) genetici, e quindi andavano sicuramente rilevati in fase di installazione e certificazione nave, il riferimento certo è la verifica periodica COC del sistema successiva ad un intervento nel 2011, che però risulterebbe esser stata fatta in Spagna e non in Italia. Quindi fuori tiro dei PM baresi.

Che una nave con 450 persone a bordo (abilitata per 880 passeggeri) possa navigare con un sistema tanto importante come la scatola nera in condizioni non conforme e con dei “bug” di sistema che rendono difficile (quasi impossibile) la estrazione dei dati, a noi – difensori delle parti lese – sembra in ogni caso un argomento non marginale, e difatti siamo entrati in polemica anche con il Gip riguardo al fatto che, di fronte alle certificazioni, si sia arrestata ogni ulteriore analisi sul funzionamento ed efficienza concreta degli apparati di bordo da parte dei suoi periti. Ove emergano, come nel caso di specie, dei malfunzionamenti alla scatola nera o carenze addirittura progettuali della nave ed al sistema antincendio, i periti del tribunale avrebbero dovuto procedere in maniera più critica e non fermarsi davanti ad un pezzo di carta. Sulla nave è ovviamente tutto certificato, ma anche l’incendio è certificato, i morti sono certificati, Come anche le gravi responsabilità e malfunzionamenti.

Altra questione che – da noi difensori – è sin da inizio stata messa sotto analisi in modo critico su questa vicenda e sulla quale abbiamo chiesto esplicitamente conto ai periti, è la “scelta” di orientare dalla nave i soccorsi verso l’Italia e far intervenire dei rimorchiatori da Bari piuttosto che dalle coste albanesi, che erano li davanti, a vista del traghetto, quando il NA è rimasto alla deriva ed in fiamme per due giorni, prima di esser completamente evacuato e trainato in porto.

La perizia (Pagina 434) riporta questa trascrizione del dialogo tra Comandante in plancia ed il suo equipaggio: Alle ore 03.33.47(VDR) MANFREDI: “Comandante chiamiamo le autorità più vicine? GIACOMAZZI: stiamo ancora vicino alle coste albanesi” (il Comandante ha ritenuto opportuno soprassedere alla chiamata per non coinvolgere le Autorità albanesi).

Ora, la risposta alla domanda che abbiamo rivolto sul punto al Collegio dei periti di voler esplicitare la parte tra parentesi NON CI HA AFFATTO CONVINTI anche in relazione all’altra domanda relativa al fatto che Il MAYDAY non sia stato dato immediatamente ma venne fatta una chiamata diretta via radio alla stazione costiera Crotone radio.

L’ammiraglio Carpintieri ci ha risposto che venne comunque diramato di li a pochi minuti dopo il “distress” e quindi il Comandante ha eseguito la chiamata, ma resta il fatto che il distress è un messaggio tipo telex, in testo e parte spingendo un pulsante, e non sostituisce l’obbligo di diramare il Mayday via radio, che venne invece dato molto più tardi e dopo la chiamata diretta per soccorso dalla nave a Crotone e Brindisi. A noi, in abbinamento al fatto che lo stesso Amm. Carpintieri ci ha confermato che la scelta dei rimorchiatori viene comunque proposta dall’armatore alla autorità di soccorso, sembra abbastanza ovvio ed intuitivo che tale ritardo nel chiamare le autorità (chiamo le autorità più vicine? No, stiamo ancora davanti alle Coste Albanesi) sia legata ai COSTI del rimorchiatori che agganciano una nave alla deriva, visto che, come sappiamo, il codice della navigazione prevede per il salvataggio una percentuale in favore dei rimorchiatori che può arrivare virtualmente fino al 100% sul valore del bastimento! Come sappiamo, ciò è un deterrente talmente forte, da inibire tristemente il meccanismo dei soccorsi a mare, talmente forte da aver fatto dire dal DPA della Costa Crociere a Schettino: mi raccomando chiamami sul telefono, se ci sentono i rimorchiatori quelli ci mangiano la nave! È lo stesso meccanismo che, nel caso della Norman Atlantic, ha costretto i passeggeri a rimanere per 72 ore sul ponte della nave; i rimorchiatori albanesi erano lì a poche miglia, anzi sono subito accorsi, come un branco di lupi girando intorno alla nave, ma anche in questo caso l’eroico Comandante Argilio Giacomazzi non gli ha passato la cima di recupero e non ha dato Mayday via radio, ma ha aspettato i rimorchiatori dei F.lli Barretta, inviati (sotto contratto) da Visemar, partiti da Bari, semplicemente perché costavano meno all’armatore, ed anzi è poi nata una vera e propria gara tra soccorritori italiani e albanesi a chi prendeva il “premio”, che è costata la vita a due marittimi a bordo di un rimorchiatore.

Ancora una volta quindi è prevalsa la tutela sul valore della nave rispetto a quello della vita umana dei passeggeri. Ancora una volta, pertanto, sosteniamo che tale calcolo dei costi da parte degli armatori, a discapito della prevenzione e della sicurezza del trasporto passeggeri a mare, può essere validamente contrastato solo attraverso il riconoscimento di un danno punitivo a favore delle vittime, sganciandosi dai valori tabellari e dalla logica del risarcimento solo in termini compensativi, agganciandolo anche alla funzione esemplare e di prevenzione verso il sistema e le consorelle, per far si che tragedie come queste non si possano ripetere mai più, specie se legate ad un calcolo convenienza economica da parte degli armatori.

I complessivi risultati della perizia, e dei molti temi ed altri punti che abbiamo esaminato nell’impegno in aula di questa settimana, sono comunque ottimi ed assolutamente a favore delle tesi accusatorie, con punti di straordinario impegno dei periti sopratutto a livello di estrazione ed analisi dei dati informatici e dell’incendio, anche se con mano davvero troppo leggera sul comportamento dell’equipaggio, ed arresto del loro lavoro sulla conformità formale della nave.

L’incidente probatorio è stato dichiarato chiuso e quindi ora spetta all’ufficio della Procura della Repubblica di Bari mettere a punto tutte le informazioni della perizia con le iniziali notizie di reato ed indagini svolte, e formulare la richiesta di rinvio a giudizio a carico di tutti i responsabili di questo terribile ed evitabile disastro marittimo.

3 pensieri su “Incidente probatorio Norman Atlantic – i risultati della perizia

  1. elsa.scardino@gmail.com

    Buongiorno,
    sono una studentessa universitaria prossima alla laurea in giurisprudenza e vorrei approfondire questo caso per la stesura della tesi. Pertanto avrei bisogno della perizia effettuata sulla Norman Atlantic che vedo qui in allegato, ma che purtroppo non riesco a scaricare dal Cloud. Spero vivamente possiate aiutarmi ed in attesa di Vostra positiva risposta, molti cordiali saluti.

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  2. davide

    Grazie per la pubblicazione della perizia, sono informazioni importanti per chi vuole approfondire le cause di un evento tanto mediatico all’inizio ma poi scomparso dalle cronache. Invece nella perizia si scoprono risposte a tante domande sollevate dal caso.

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